Un giorno esisterà la fanciulla e la donna, il cui nome non significherà più soltanto un contrapposto al maschile, ma qualcosa per sé, qualcosa per cui non si penserà a completamento e confine, ma solo a vita reale: l’umanità femminile.
Questo progresso trasformerà l’esperienza dell’amore, che ora è piena d’errore, la muterà dal fondo, la riplasmerà in una relazione da essere umano a essere umano, non più da maschio a femmina. E questo più umano amore somiglierà a quello che noi faticosamente prepariamo, all’amore che in questo consiste, che due solitudini si custodiscano, delimitino e salutino a vicenda.
Qualche giorno fa sono stata a teatro. Ho visto “Due Partite” di Cristina Comencini e per due ore ho avuto la netta sensazione di non essere poi così strana. Più la messa in scena svelava i pensieri intimi delle protagoniste e più ho avuto la riconferma che essere donna è (e probabilmente sarà sempre) un vortice di caos e follia, viaggi mentali assurdi, tensioni tragicomiche, piccole gioie e piccole paure.
Definire l’identità femminile è impossibile, che sia per sè o in contrapposizione all’uomo. Poco importa, le definizioni sono limitanti e non c’è niente di tanto labile e mutevole quanto la costruzione di una identità.
una definizione che non proceda per contraposizioni è uno degli esercizi più difficili dell’intelletto consapevole…
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Non so nemmeno se sia possibile, ma credo di intuire ciò che Rilke voleva dire. La donna si contrappone all’uomo, ma è qualcosa di diverso, qualcosa di più. Stessa cosa vale per l’uomo, sia bene inteso 😉
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Sì, ampliavo e rafforzavo il concetto. Troppo spesso ognuno di noi si definisce per differenze e quindi (per vari motivi) per contrapposizione.
Ma la definizione per contrapposizione cmq venga fatta sminuisce il definito.
Anche dire “io sono più bravo/bello/intelligente/ecc di Pippo/Pluto/Paperino” sminuisce chi lo afferma
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