Ci sono regole che sembrano essere passate di moda, ma che non per questo sono meno valide di quando venivano applicate. Una di queste, tra le più neglette e sicuramente fra le mie preferite, è: “Se non hai niente di pertinente o interessante da dire, stai zitto“.
Difficile eh?
In un mondo dove ormai viene ascoltato solo chi urla più forte, chi riceve più like postando foto di dubbio gusto o di gattini, chi twitta banalità e, purtroppo, chi si improvvisa un giorno economista, un giorno esperto di motori e il giorno dopo massimo esponente della storia delle religioni, la tentazione di dire la propria su qualsiasi argomento è forte.
Non solo; ti senti in diritto di farlo. Libertà di parola, libertà di espressione. Un diritto fondamentale, inalienabile, guai a chi lo tocca. Su questo siamo d’accordo. Quello su cui non siamo d’accordo è il parlare prima di aver pensato e soprattutto, prima di aver avuto il tempo di ascoltare, interiorizzare e formare un pensiero che sia una rielaborazione delle nozioni che hai acquisito, filtrata dalla tua cultura, dalle tue credenze e dalla tua sensibilità.
Il tempo che ti prendi per ascoltare è molto più importante del tempo che impieghi per parlare. E ascoltare NON È uguale a sentire. È qualcosa di diverso, di più complesso, tutt’altro che un’azione passiva; serve per porre e porsi domande, domande che ne scatenano altre e innescano la ricerca di risposte. Ed è questa ricerca che, secondo me, è fondamentale per avere poi qualcosa da dire, dove per “qualcosa da dire” non intendo la prima sentenza sputata a caso, ma qualcosa che abbia un senso e che migliori una discussione o, sempre che ancora si trovi, un eventuale silenzio.
E poi, ricomincia tutto da capo in questo ciclo continuo, e devi ripercorrere le varie fasi. Quando le salti tutte per arrivare subito allo step in cui parli, allora probabilmente era meglio che ti stavi zitto!