Il settimo giorno

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Nel mio peregrinare periodico e costante tra gli scaffali delle biblioteche trovo spesso libri dei quali non avevo mai sentito parlare e che, per un motivo o per l’altro, finiscono per ispirarmi. A quel punto il mio braccio si allunga da solo e pochi minuti dopo mi porto a casa una nuova storia tutta da scoprire, anche perché non leggo mai nè la quarta di copertina nè la prima di sovracoperta.

È esattamente quello che è accaduto con “Il settimo giorno” dello scrittore cinese Yu Hua che racconta i primi sette giorni nel regno dei morti di Yang Fei, voce narrante del romanzo.

Non occorre scorrere poi molte pagine prima di capire come il romanzo sia una metafora della vita nell’odierna Cina, nè tantomeno come mai i libri di Yu Hua vengano censurati in patria. Tra picchi di poesia surreale che richiamano i tratti principali del realismo magico e realtà crudeli, Yu Hua dipinge infatti un ritratto della Cina decisamente non positivo, come di una madre malevola e indifferente. Ma a colpire è soprattutto l’atteggiamento critico nei confronti del capitalismo sfrenato che dilaga e che non guarda in faccia nessuno.
Alternando la storia di Yang Fei a coloro che il protagonista incontra nell’aldilà, l’autore riesce a parlare e a denunciare dal suo punto di vista l’inferno che è vivere nella Cina moderna. Un Paese che insabbia e censura, che distrugge e demolisce, che corrompe e consuma fino allo sfinimento, che tratta neonati morti come rifiuti da smaltire e dove milioni di persone, povere e sfruttate, abitano negli oltre 10.000 bunker sotterranei, costruiti dal governo negli anni ’60 per proteggersi da attacchi nucleari, perché non possono permettersi di vivere altrove.

Nonostante tutto questo, “Il settimo giorno” è un libro che parla d’amore in modo semplice eppure intenso, ed è forse questo il suo maggior pregio, ciò per cui mi sento di consigliartelo assolutamente.

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