<L’ho dichiarato subito nel post precedente, oggi si parla di quanto sia vera la frase “avere un figlio ti cambia la vita”. E ho dichiarato anche questo: probabilmente il tono di questo post finirà per essere più serio di quanto piace a me.>
Ora, alzi la mano chi non ha mai sentito dire la frase: “un figlio cambia la vita”. Questa affermazione viaggia da sè nell’aria e la prima volta che la sentiamo, spesso, siamo ancora solo ragazzini e non riusciamo neanche a concepire l’idea di poter avere figli, perché essere figli è l’unico ruolo che abbiamo mai sostenuto. Ci viene poi ripetuta di continuo nel momento in cui, mamme-o-papà-futuri, annunciamo ad amici e parenti di essere in attesa del primo figlio.
Ebbene, nella mia esperienza, mentre quasi tutto il resto di quello che mi è stato detto mentre ero incinta posso anche cestinarlo, questa frase si è rivelata più che vera. Tuttavia, vorrei subito chiarire che no, se parli con me, non devi immaginarti questa frase pronunciata con tono carico di nostalgia dalla zia Adelina che ha avuto figli nel Paleolitico. Perché, con tutto il bene, zia Adelina non se lo ricorda più che vuol dire avere per casa un bimbo piccolo, né sa cosa voglia dire crescerlo nel 2022 con tutte le difficoltà e le pressioni sociali che abbiamo in questo momento storico.
Un figlio ti cambia la vita ed è bellissimo, ma anche no. Perché è anche preoccupazione, fatica, esaurimento, prescrizioni sociali assurde, chat di gruppo di mamme, sensi di colpa, consigli non richiesti, sentenze sputate (spesso da altre donne, il che francamente mi fa girare parecchio), confronto non salutare, senso di inadeguatezza, frustrazione, competizione, mancanza di tempo per fare qualcosa solo per sè stessi. E tutto questo viene quasi sempre seppellito sotto il tappeto di frasi fatte su quanto sia bello e appagante essere mamma, unicorni rosa, arcobaleni, frutta candita, zucchero filato e tutto quanto di più melenso possiate immaginare. Il che, francamente, non aiuta nessuno.
Certo, ci sono tutte le cose meravigliose che la maternità può regalarti, ma perché omettere, se non addirittura negare, anche tutto quanto di meno bello c’è? Forse se dicessimo le cose come stanno, senza fare retorica nè temere facili giudizi, meno mamme si sentirebbero inadeguate nell’esercitare quel ruolo che dal giorno alla notte ti viene appioppato e sul quale, non importa quanti libri hai letto, non sai niente. Basta parlare con le neomamme a cuore aperto, scavare appena sotto la superficie, e “inadeguatezza” è una delle prime parole che salta fuori. Io mi ci sono sentita inadueguata (e, non lo nego, nelle giornate no mi ci sento ancora) ogni giorno per almeno i primi 4 mesi di vita di mia figlia e semplicemente perché la mia bimba “reale” era di quanto più lontano ci potesse essere dal bambino “da manuale”, quello presentato dai libri e ai corsi preparto, quello che mi dipingevano anche il pediatra e l’ostetrica del consultorio. Nella mia ignoranza, perché al primo giro quando ci si ritrova con un neonato fra le braccia si è proprio così, completamente ignoranti, ascoltavo e leggevo tutto e tutti e mi ero evidentemente fatta un’altra idea della maternità. Insomma, avevo nutrito delle aspettative che per alcuni genitori sono irrealistiche e mi sentivo anche un po’ tradita; tutto il mondo mi aveva venduto un’immagine distorta dell’esperienza, il sottointeso era che soltanto io non avevo avuto quello che avrei dovuto avere. Non riuscivo ad ammettere che, per quanto fosse difficile dover gestire una neonata che non riuscendo a dormire piangeva e urlava incessantemente, una neonata che aveva già un suo temperamento piuttosto spiccato fin dalle prime settimane, per quanto difficile non era anormale (e già questo non è che sia una grande consolazione quando ci si ritrova in un tunnel fatto di privazione del sonno e timpani a pezzi).
Non avendo però alcun metro di paragone ed essendomi sempre e solo sentita dire quanta gioia porta un bebè, doveva per forza esserci qualcosa che non andava, in lei e in me, e ho rivoltato Internet come un calzino più e più volte alla ricerca di qualcuno con la mia stessa esperienza o, almeno, di qualcuno che mi dicesse che anche lui si sentiva distrutto e affranto. Che mi dicesse che guardando gli altri neonati dormire nella loro navicella provava invidia. Quanto avrei voluto, in quei primi mesi, trovare su Internet anche un solo articolo che dicesse fuori dai denti: certi giorni fare la mamma è così difficile che vorresti solo saltare sul primo treno in partenza per non tornare mai più. Mi sarei sentita capita e rassicurata. Invece no: fra gli articoli che ho trovato in italiano (perché vi giuro che con pochissime ore di sonno tra giorno e notte non riuscivo neanche più a capire l’inglese) solo unicorni, arcobaleni, zucchero filato e così via. Salvo poi, nel mondo reale, scoprire che quasi tutte ci siamo ritrovate a formulare un simile pensiero e, immediatamente dopo, a giudicarlo non normale perché la società ci dice che “figlio=felicità incondizionata” e se non ti senti così h24, 7 giorni su 7, allora c’è qualcosa che non va in te: sei sbagliata, malata, bacata… e parte subito il mea culpa! con tanto di pugno battuto sul petto, per espiare. E dopo il mea culpa? Presto, veloce, seppellisci tutto per paura di essere giudicata.
Ha iniziato ad andare decisamente meglio quando, recuperato un briciolo di lucidità, ho smesso di leggere manuali alla “me e il mio bambino” per fare spazio all’istinto e ho spostato il mio sguardo su Instagram, dove ci sono profili, tendenzialmente non italiani, che raccontano la realtà più vicino a com’è veramente, con tutte le gioie e anche tutte le difficoltà che l’essere genitori comporta. In Italia, invece, corre l’anno 2023, ma quando si tira in ballo la figura mitica e intoccabile della Madre c’è ancora troppo “pudore”, troppa ipocrisia, troppa paura di essere giudicati.
Ma sapete che c’è? Io, alla fin fine, ho sempre avuto la capacità di fregarmene dei giudizi altrui e non intendo smettere di farlo adesso. Perciò, nel bene e nel male, dalle alte vette della meraviglia ai bassifondi della disperazione, con tutto quello che ci sta in mezzo, voglio raccontare senza peli sulla lingua il mio diventare, il mio crescere nel ruolo di genitore senza omettere quanto sia difficile questo percorso, sperando di essere di aiuto a una neomamma (e magari, magari anche a qualche papà) quando, nel suo momento di difficoltà, cercherà ossessivamente su Internet una panacea ai suoi mali. Perché, riprendendo anche il titolo del post precedente, sono sì una mamma, ma sono anche la persona di prima che con i suoi pregi e i suoi difetti pensa molto, non ha paura di esternare il frutto delle sue riflessioni e spera di trovare un confronto sereno per arricchirsi interiormente. Possibilmente con quella sana dose di ironia e quel tono di leggerezza che sento più mio.
Un nota bene che forse dovrei scrivere a caratteri cubitali: non sono un’esperta di niente! Non sono esperta di pedagogia, di educazione dell’infanzia, di neonatologia, di svezzamento, di gioco montessoriano, di un c@//Ø di niente. Tutto ciò che troverete qui è semplicemente il racconto della mia esperienza, gli spunti di riflessione che mi sono venuti vivendo la quotidianità, il tentativo di “buttare fuori” le cose come a me sembra che stiano, con la grande speranza che la mia sincerità possa essere d’aiuto ad altri e fare del bene, anche se solo per i cinque minuti che servono a leggere un articolo di blog.
Very nice write up.
Yes, Child can change our life.
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Thank you!
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in Italia è tabu’ parlare di tanti argomenti. Quello della genitorialità è uno tra i tanti, ma sicuramente quello ci cui si sente più bisogno di parlare con franchezza. Una volta ne parlavano i preti, ora molte esperti e molte esperte (spesso senza figli).
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Mi ha sempre fatto sorridere il fatto che nel nostro Paese i corsi prematrimoniali (se si decide di sposarsi in chiesa) siano tenuti dai preti e che questi si prodighino in consigli sulla coppia e i figli… non riesco proprio a capire che tipo di aiuto possano dare.
Tornando all’argomento del post invece, sì, me ne sono resa conto solo sbattendoci la faccia ma credo ci sia un enorme bisogno di onestà sulla faccenda e nel mio piccolo vorrei provare a raccontare la mia esperienza e le riflessioni che ne sono scaturite senza farmi prendere dalla paura del dito puntato contro.
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Da parte mia, solo appoggio. Per quanto mi riguarda, ho chiuso coi preti a circa 18 anni. Poi ho iniziato a incontrare preti e poetesse laiche. La musica era pressoché identica.
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Sposo in toto quello che dici mi vedo d accordo su tutto e credimi io ho avuto 3 aborti prima di mio figlio .l ho avuto tardi in età e quando è arrivato eravamo in piena pandemia.nessuno che ti aiutava ospedale e consultorio compreso pure l l’ostetrica del corso pre parto si rifiutò d aiutarmi i primi giorni facendomi sentire un mostro perché l allattamentocon me non andava bene e ricorsi al latte artificiale come indicòuna pediatra…bimbo cn coliche e reflusso .senza mia mamma perché è morta e suoceri inesistenti…la mia fortuna un marito bravissimo e paziente.. ho dovuto rinunciare al lavoro una proposta seria perché non avevo nessun che potesse tenermi mio figlio.credimi mi ha pesato ma l ho fatto come un gesto d amore ..
I tempi duri poi sono passati..nel senso che la frustrazione la stanchezza e il senso di inadeguatezza rimane ancora in certi versi ma con il bambino che cresce si vedono tante soddisfazioni e si ricomincia a riprendere un po la vita di prima.. le sfide non mancano ogni giorno ma è tutto più sereno passato l anno e mezzo di vita almeno nella mia esperienza. Oggi Filiberto ha 2 anni e mezzo… ps il mio consiglio se posso..evita certi gruppi di super mamme che magari fanno sentire peggio inveve di aiutare…lo dico sempre basandomi sulla mia esperienza personale ovviamente senza voler farti lezioni..non sono davvero nella posizione di dare lezioni!
Felice di leggerti
Daniela
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Grazie per aver condiviso la tua esperienza Daniela! Quello che mi piacerebbe fare con questi post è proprio condividere ciascuno la propria esperienza e discuterne serenamente, senza la pretesa che nessuno faccia la lezione a nessuno. Se ne avrai voglia ci saranno vari argomenti di cui parlare e uno lo hai già anticipato tu quando hai parlato della mancanza di una rete di supporto per le neomamme… perché, ti assicuro, covid o non covid una volta che hai partorito è molto difficile trovare l’aiuto del proverbiale villaggio che servirebbe a far crescere il bambino.
Ti auguro una buona serata 🙂
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Sai che è una frase che ripeto sempre anche io..x crescere un bimbo ci vuole un villaggio…
Felice allora di leggerti..da mamma a mamma😘
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Ti capisco benissimo. Io ho tre figli, ormai grandi (25, 23, 18) e spesso mi sono trovata sola, preoccupata, arrabbiata senza potere condividere i miei stati d’animo con nessuna delle mie amiche, tutte mamme da manuale. Però poi ho capito che non c’era niente di sbagliato in me, anzi, affrontare le cose consapevole dei miei limiti era già un passo positivo. I figli non hanno bisogno di mamme perfette, piuttosto di mamme disposte ad accettare che nessuno è perfetto, che gli errori si fanno, si capiscono e si superano. Insieme.
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Quell’insieme per me racchiude tutto 💜
Sulla questione dell'(im)perfezione legata alla genitorialità ci sarebbero da scrivere libri e libri. Anzi, magari esistono anche 🤔
Ad ogni modo è incoraggiante leggere che nonostante preoccupazioni e rabbia hai cresciuto ben 3 figli. Complimenti! Come mamma ancora “acerba” (mia figlia ha 18 mesi) sto iniziando a capire adesso tante cose, a perdonarmi quando sbaglio e soprattutto a non sentirmi sbagliata su tutta la linea quando qualcosa non va. Spero di arrivare a un grado di consapevolezza sempre maggiore 💪
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Ho sempre pensato che si cresca insieme ai figli. Come diceva Totò, nessuno nasce imparato.
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Io ci credo fermamente 🙂
Un abbraccio!
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🤗
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certo che i figli cambiano la vita
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A volte stravolgono, dai 😁
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Sottoscrivo ogni parola! Aggiungo solo che spesso si dice “ogni fatica è ripagata quando vedi i suoi sorrisi/progressi..!” . Noooo. La verità è che la fatica non viene mai ripagata, la vita di prima non viene dimenticata grazie ad un sorrisino.
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È un argomento tosto quello che hai sollevato, meriterebbe un approfondimento. Provo a rispondere in breve.
Faccio una premessa: credo che i sorrisi che ci fanno i nostri bambini siano quello che ci spinge ad andare avanti anche quando siamo svuotate di ogni energia, esauste e sull’orlo di un burnout. Sono insostituibili, capaci di farci rimboccare le maniche quando tutto ciò che vorremmo in realtà fare è avere un momento di tregua.
Detto questo, la frase che hai riportato tu è estremamente problematica. Innanzitutto, di solito viene detta in risposta a un’espressione di difficoltà da parte della madre. Una risposta di quel genere, con il focus sul bambino, secondo me, riesce a fare 3 cose contemporaneamente, nessuna delle quali utile:
1. minimizza, tronca il discorso sul nascere e non empatizza;
2. delegittima l’espressione di fatica espressa dalla madre (che vuoi, tanto con un sorriso sei a posto, no?);
3. ti fa sentire in colpa perché ti viene da chiederti “ma perché per gli altri è sufficiente un sorriso per essere di nuovo in pace col mondo e per me invece non è così? Cosa c’è che non va in me? Sono una cattiva mamma?”… cose su questa lunghezza d’onda.
Insomma, è una frase che io abolirei perché porta avanti una narrazione della maternità che non solo non è vera, ma è anche tossica.
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