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Ascoltare non è una azione passiva

La gente non ascolta, aspetta solo il suo turno di parlare.
[Chuck Palahniuk]

Quante volte ti è capitato di parlare con qualcuno per poi scoprire, alla fine, che quello stava seguendo un altro filo di pensiero e altro non ha fatto se non aspettare che tu chiudessi bocca per ribattere con un suo ragionamento completamente slegato dal tuo? È una cosa estremamente fastidiosa, specie se l’altra persona ti aveva chiesto un consiglio…
Ma che si tratti di un consiglio o, semplicemente, di una chiacchierata su un argomento a caso, ascoltare, oltre che essere buona educazione, è un qualcosa che, se fatto con attenzione, non è una azione passiva e può veramente arricchirti.

Nessuno è immune dall’ascoltare superficialmente, nemmeno la sottoscritta che sta scrivendo questo articolo. Capita perché pensiamo che il nostro interlocutore non abbia afferrato quello che volevamo dire (e quindi magari lo interrompiamo pure), perché quello che abbiamo da dire ci sembra così importante da non poter aspettare un secondo di più, perché siamo stanchi e vogliamo arrivare dritti al nostro punto, non importa se stiamo tagliando fuori un altro punto di vista. Capita, eppure sforzarsi di ascoltare attivamente può portare a considerare nuovi pensieri e generare nuove idee e questo perché il nostro cervello va millemila volte più veloce di quanto non possa fare la nostra lingua.

Non appena pensiamo, parliamo; ma non sempre pensiamo, quando parliamo.
[Hannah Arendt]

È normale che, mentre un’altra persona parla, nel tuo cervello si sviluppi un pensiero. La meraviglia è quando, attraverso l’ascolto attivo, il tuo pensiero riesce a incorporare un pezzetto di quello dell’altro, dando vita a un terzo pensiero che prima non esisteva per nessuno dei due. Questa è la lezione più utile che ho imparato nei miei anni in agenzia di comunicazione, durante gli interminabili brainstorming a caccia di un’idea originale che potesse fare al caso del cliente di turno. Nelle lunghe ore di confronto, quando ormai è passato da un pezzo l’orario di chiusura e sei così stanco che nemmeno con un trip da LSD potrebbe venirti una nuova idea, carpire quel pezzetto di ragionamento buttato là a caso, quella scintilla che mancava alla tua idea, e rimodellare il tutto per dare vita a una nuova entità è ciò che può salvarti (e permetterti di andare a letto!).

Insomma, ascoltare non è una azione passiva perché presuppone che possiamo fare nostro quello che sentiamo, mischiandolo con quello che già sapevamo, ampliando i nostri orizzonti e permettendoci anche di capire meglio chi ci sta di fronte e il mondo da cui proviene.

E tu, cosa pensi di questo argomento?
Dai, parliamone nei commenti 😉

Soffocare

Chuck Palahniuk è sicuramente uno di quegli scrittori di cui serbi un ricordo, se non delle trame dei suoi libri, perlomeno delle sensazioni che ti ha destato la lettura dei suoi romanzi. Di Palahniuk avevo già letto, anni fa, “Fight Club” e “Gang Bang” e lo scorso mese l’ho ripreso in mano per leggere, insieme a uno dei miei gruppi di lettura, “Soffocare”.

Complesso, tortuoso e ai limiti dell’irrealtà nella trama, il libro è molto interessante dal punto di vista del contenuto anche se i temi trattati non vengono mai veramente esplosi quanto piuttosto soltanto accennati. Sullo stile, invece, ho qualche riserva. Vero è che il linguaggio utilizzato è perfetto per Victor Mancini, il protagonista del libro, ma è altrettanto vero che è lo stesso stile che avevo trovato negli altri romanzi e non mi aspettavo niente di diverso. Non so, diciamo che Palahniuk non è il mio genere di pazzo schizoide preferito; se proprio devo andare in quella direzione, allora preferisco David Foster Wallace. Si tratta però di un commento squisitamente personale.

La cosa veramente stimolante di questo libro è che ti sfida a vedere cosa c’è oltre la patina spessa del turpiloquio, della nausea, dello schifo, per arrivare alla verità profonda del suo significato intrinseco, tutto esplicitato nel finale ma di cui si trovano indizi disseminati sin dalle prime pagine. Un romanzo per un lettore arguto, come arguta è la scelta del titolo che sembra in fin dei conti avere poca rilevanza rispetto alla trama e invece la permea senza che quasi ci se ne accorga.