Ci sono libri capaci di suscitare qualcosa fin dalle primissime righe. Capaci di catturare l’attenzione del lettore sin dal primo paragrafo per non lasciarla andare più (e si finisce col naso fra le pagine in ogni piccolo momento strappato alla routine quotidiana). Sono i libri che hanno un incipit da esclamazione e ho deciso, da ora in avanti, di collezionarli dando il via a una piccola rubrica qui sul blog. Giusto per ricordare il mio passato in pubblicità ho deciso di lanciarmi in un imbarazzante gioco di parole e chiamarla (Perd)Incipit. Eh già; l’ho pensato, l’ho detto e l’ho scritto!
Per iniziare, si poteva non partire con uno degli autori la cui specialità è mettere nero su bianco, senza peli sulla lingua, le realtà più disparate e dure senza nascondere davvero nulla al lettore? A quanto pare la mia risposta è stata no ed è per questo che ho scelto l’incipit de “Il teatro di Sabbath” di Philip Roth.
Giura che non scoperai più le altre o fra noi è finita.
Questo l’ultimatum, il delirante, improbabile, assolutamente imprevedibile ultimatum che la signora cinquantaduenne impose tra le lacrime al suo amante sessantaquattrenne, il giorno in cui il loro legame, di stupefacente impudicizia e altrettanto stupefacente riservatezza, compiva tredici anni.
E adesso che l’afflusso di ormoni andava esaurendosi, e la prostata ingrossava, e forse non gli restavano che pochi anni di potenza relativamente affidabile, e forse ancor meno anni di vita; adesso, quando si avvicinava la fine di ogni cosa, gli veniva imposto, per non perdere lei, di stravolgere se stesso.