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Ogni giorno deve essere la giornata della memoria

<Questo post non è assolutamente in linea con quanto scrivo solitamente su questo blog, eppure credo sia doveroso dare uno spazio alla serietà in una giornata così importante. Ho quindi ripreso e rielaborato un articolo che avevo già scritto nel 2017 in occasione della Giornata della Memoria. Buona lettura!>

Ho scritto tante righe per questo post e altrettante ne ho cancellate. Volevo esprimere tutta la complessità, la confusione e lo sbigottimento che sento dentro quando si parla di nazismo e degli orrori della Seconda Guerra Mondiale, ma mi è molto difficile. Soprattutto, c’è qualcuno che ha riassunto tutto in una delle frasi più lucide e crude che siano mai state dette sull’argomento. Quel qualcuno è Primo Levi, che al solo nominarlo mi viene la pelle d’oca ed è giusto che sia così.

Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario,
perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre.

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Poche parole, e tutti dovremmo soffermarci su di esse fino ad interiorizzarle. Averle chiare dentro di noi sempre, non soltanto oggi.
E a quel punto combattere strenuamente, con ogni mezzo, per far sì che ciò che è successo non possa ritornare mai più. Dobbiamo combattere quando sentiamo dire ai negazionisti che i campi di concentramento non sono mai esistiti, dobbiamo combattere quando le destre italiane stanno zitte davanti alla crescente intolleranza e al razzismo e aprono la bocca solo per insultare e incitare all’odio, dobbiamo ribellarci quando Liliana Segre viene insultata invece che applaudita e quando scritte come “Jude hier” cominciano ad apparire sulle porte di abitazioni private.

Perché, in fondo, non c’è una scelta da fare. Non si può restare indifferenti, pensare che tutto ciò non ci riguardi. Noi dobbiamo conoscere, ricordare, resistere e non rassegnarci a perdere la nostra umanità.

Le otto montagne

Le otto montagne” di Paolo Cognetti ha vinto il premio Strega nel 2017.
Tutto ciò che ho pensato nel leggere le 208 pagine che compongono il romanzo è stato: “ma perchè?”.
Come sempre, la mia è la più umile delle opinioni personali, ma ho trovato questo libro banale, privo di una voce sua propria al punto da ricordarmi, anche se indistintamente, altre storie già lette, trite e ritrite. Non fraintendermi, la prosa è chiara e ci sono sicuramente anche delle belle frasi, ma tutto mi è sembrato molto artificioso; il risultato è che questo libro non mi ha trasmesso assolutamente nulla.

La cosa che mi ha lasciato più delusa è questa: a me piace moltissimo leggere libri che non trattano di argomenti che godono già della mia predilezione. È in questo modo che scopro nuove idee, nuove sensibilità, nuovi punti di vista. Il massimo è quando un libro ti spinge ad andare oltre, ad approfondire gli argomenti di cui tratta (vedi, Leggere Lolita a Teheran). Ebbene, questo libro, in gran parte incentrato sulla montagna, sulla passione che ti porta a camminarne i sentieri e a scalarle fino ad arrivare a quote da record, non ha operato la magia. Non mi ha fatto nascere nemmeno la più piccola delle scintille nemmeno per un secondo.

E ti dirò di più, anche confrontandomi con altre persone ho scoperto che chi era già appassionato di montagna ha trovato il romanzo bellissimo, mentre chi non aveva mai coltivato questa passione non ha provato amore per la storia. Insomma, se già non ti piace la montagna, questo libro non te la fa amare e come faccio a non dire che per me questo lo rende un romanzo molto limitato?

Detto ciò, forse ti è sembrata una “recensione” molto negativa, ma a dire la verità questo romanzo alla fin fine mi ha lasciata indifferente.
Tu lo hai letto? Ti è piaciuto? Dai, parliamone! Sono in cerca di opinioni discordanti per vedere se per caso non mi è sfuggito qualcosa.

Cecità

Come previsto e come mi ero ripromessa a inizio 2017, fra un gruppo di lettura e l’altro, sono riuscita a riprendere in mano il caro José Saramago. Dopo “Le intermittenze della morte“, stavolta la scelta è ricaduta su “Cecità“.
Il romanzo è stato pubblicato nel 1995, ma non è assolutamente caratterizzato nè temporalmente nè spazialmente. È universale, talmente universale che nemmeno i personaggi protagonisti hanno un nome. La particolarità, così come l’immensa bravura, di Saramago sta proprio qui, nel catapultare il lettore nel mondo da lui creato e farlo sentire come se in quel mondo ci abitasse.

Nel caso di Cecità, l’esperienza non è particolarmente piacevole. Ancora una volta Saramago si e ci pone la domanda: “cosa succederebbe se?”, e la specifica in un “cosa succederebbe se, improvvisamente, tutta la popolazione diventasse cieca?”. Con grande maestria l’autore illustra le conseguenze psicologiche e soprattutto sociali che l’inspiegabile epidemia porta con sè. Il lettore precipita così in un tunnel di orrore e abbruttimento, insensibilità e ferocia. Non c’è ordine nè ragione che tenga di fronte a una catastrofe come quella immaginata da Saramago; l’indifferenza dilaga, mentre la civile convivenza viene sostituita prima da un “mors tua, vita mea” e poi dalla legge del più forte, in una regressione, una cecità dell’umanità che solo in ultima analisi verrà messa davvero in discussione.

Cecità è vivere in un mondo dove non vi sia più speranza.

È di questa pasta che siamo fatti, metà di indifferenza e metà di cattiveria.

Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono.

A intervallare la storia, come sempre, ci sono le riflessioni e i commenti dell’autore che dispensa critiche e ironia ai suoi personaggi, umani, così umani da suscitare compassione. Una compassione che finisce per provare anche il lettore verso sé stesso. Lo ripeto, Saramago non è stato un premio Nobel a caso.

Insomma, ti ho detto anche troppo. Non voglio spoilerarti ulteriormente questo libro. Perché? Perché devi assolutamente leggerlo.