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I terribili segreti di Maxwell Sim

Ok, lo ammetto. Mi costa molto, ma lo ammetto. “I terribili segreti di Maxwell Sim” di Jonathan Coe non ha nulla a che vedere con i primi romanzi dello stesso autore (che amo follemente, se non si era capito). Questo libro ha un peso specifico di molto inferiore a titoli come “La famiglia Winshaw” o “La casa del sonno”. O “La banda dei brocchi”. Eppure si ritrovano molti elementi tipici della narrativa di Coe a partire proprio da Maxwell Sim, protagonista del romanzo.

Max, come la stragrande maggioranza dei personaggi di Coe, è un perdente. Non ha nemmeno una delle caratteristiche che nel mondo contemporaneo sono considerate positive: non è sicuro di sè nè ha una particolare autostima, non è determinato nè particolarmente affascinante.
A dirla tutta, Max ha vissuto i primi 48 anni della sua vita senza porsi alcuna domanda ed è per questo che allo stesso Maxwell Sim risulta impossibile dire chi sia Maxwell Sim.

E questo ci riporta a un’altra delle grandi tematiche che Coe esplora nei suoi romanzi: la ricerca della propria identità. Non è raro infatti che i personaggi di Coe cerchino disperatamente di capirsi, di comprendere veramente chi sono. Una ricerca che di volta in volta viene declinata in diversi aspetti: materiale, spirituale, sessuale, di genere e così via. Maxwell Sim non fa eccezione e si può quasi dire che il viaggio intrapreso dal personaggio altro non è che una grande metafora per la ricerca d’identità del protagonista.

Non fa eccezione nemmeno il fatto che anche in questo romanzo si ritrovi l’idea che la generazione che ora ha tra i 50 e i 60 anni sia una generazione che si è spesso sentita crescere all’ombra di genitori piuttosto ingombranti. Il che mi fa pensare che sia Coe stesso a sentirsi così, ma questa è solo una mia supposizione.

I riferimenti alla Borsa con l’utilizzo di termini bancari e brokeraggio, l’attenzione alle preoccupazioni sociali, il tono umoristico che pervade la narrazione senza sminuirne la profondità completano il quadro.

“I terribili segreti di Maxwell Sim” è un romanzo dove vediamo il caro vecchio Coe degli esordi solo a sprazzi, ma resta comunque un libro a mio avviso più che godibile. Mettiamola così: se “La famiglia Winshaw” e “La casa del sonno” sono romanzi da 10, “I terribili segreti di Maxwell Sim” si porta comunque a casa un dignitosissimo 7.

Nel guscio

È facile comprendere perché l’ultimo romanzo di Ian McEwan abbia suscitato molte critiche e innumerevoli discussioni. Molti sono i detrattori, altrettanti i sostenitori; io faccio parte del gruppo rappresentato dai secondi. Per quanto mi riguarda, McEwan si conferma uno scrittore geniale e di puro talento.

“Nel guscio” racconta una storia di tradimento e delitto da un punto di vista estremamente originale: quello di un bambino non ancora venuto al mondo.
Feto che, pur innocente, si ritrova suo malgrado a partecipare al complotto della madre e dello zio, suo amante, nell’uccisione del padre. Ti ricorda qualcosa, vero?
Ebbene sì, McEwan si è ispirato all’Amleto di Shakespeare e così come il protagonista della tragedia, il protagonista di questo libro pensa e si interroga sui grandi temi della vita e denuncia la corruzione del mondo nel quale si ritroverà a vivere nel giro di pochissimo tempo. Perché non sarebbe McEwan se non ci fossero riflessioni contestualizzate sul mondo e sulla società odierna:

La vecchia Europa si gioca a testa o croce i propri sogni, incerta fra paura e compassione, fra accoglienza e rifiuto. Commossa e generosa questa settimana, ruvida e pragmatica la prossima, vorrebbe essere d’aiuto ma detesta condividere o rinunciare a ciò che ha.

È in questo che molti hanno individuato una debolezza fatale alla struttura del libro. Come può un feto sapere e ragionare di queste cose?
Dal mio punto di vista, domanda non più rilevante di come la lettera di accoglienza faccia ad arrivare nelle mani di Harry Potter. In ogni opera di finzione l’instaurazione della suspension of disbelief è un momento fondamentale: prima di procedere al giudizio occorre accettare la prospettiva dell’autore, senza irrigidirsi. Forse in questo caso non è semplicissimo fare questo patto con l’autore, ma alla fine, vedrai, ne vale assolutamente la pena.

Inquietante
, come nella miglior tradizione di McEwan, questo monologo interiore, a tratti crudo e dolente, punteggiato di humor nero, è una piccola perla, tragicamente lucente. È il rivivere del dubbio di Amleto e di tutto lo sbigottimento che possiamo provare di fronte alla fragilità e volubilità umana.

Tre uomini in barca

Se ripenso a tutti i libri che ho letto sinora nella mia vita (397, stando a quanto dice la mia pagina su Anobii, anche se qualcuno manca sicuramente all’appello), nessuno è accomunabile a 3uomininbarca-cover“Tre uomini in barca (per non parlar del cane)” scritto da Jerome K. Jerome nel 1889.

A quasi 130 di distanza, questo romanzo umoristico, condito da interessanti digressioni storico-culturali, è estremamente attuale.
Ti puoi infatti scordare l’Ottocento del “voi”,
dei costumi voluminosi, delle storie d’amore struggenti; piuttosto, preparati a ridere di gusto degli aneddoti che l’autore ha saggiamente sparso qua e là per il libro e a riflettere sui fatti della vita. Aneddoti validissimi che potrebbero essere stati scritti anche ieri, riflessioni universali che riguardano l’umanità intera.

Il grande pregio di questo romanzo, secondo me, è la sapiente combinazione di tanti ingredienti in modo leggero e ironico che ha creato, in modo naturale, un piacevole contrasto fra humor e momenti di introspezione.

Avrai già capito che te lo consiglio; tra l’altro, rientra fra i classici della letteratura inglese e si sa che un classico ogni tanto bisogna spararselo. Non dovesse bastare (perché in effetti ho volutamente tralasciato di scrivere alcunché sulla trama, anche se già dal titolo si evince che ci sono 3 uomini e che fanno una gita in barca), ti lascio alla lettura di uno dei passi che ho preferito durante la lettura.

Per me si tratta di vera e propria saggezza, e non mi riferisco solo alla presente circostanza, ma al nostro viaggio in generale sul fiume della vita. Quanta, quanta gente nel corso di quel viaggio sovraccarica la barca in modo tale d correre il rischio di affondare con un bagaglio d’inutili cose che a loro sembrano essenziali a rendere il viaggio comodo e piacevole, e che altro non sono se non inutile zavorra.
Come straccaricano la povera navicella di bei vestiti e grandi case, di servi inutili […] e ancora, della zavorra più pesante e assurda! … della paura di ciò che penserà il vicino. […] È zavorra, amico… tutta zavorra! […]
Getta la zavorra, amico! Fa che la barca della tua vita sia leggera, carica soltanto di ciò che è indispensabile… una casetta ospitale, semplici gioie, due o tre amici degni di questo nome, qualcuno da amare e da cui essere riamato, un gatto, un cane, due o tre pipe, quel tanto che basta per sfamarti e vestirti e appena un po’ più del necessario per togliere la sete; perché la sete è una cosa pericolosa.
Allora la barca ti sembrerà più leggera e meno incline a rovesciarsi; e se anche si rovesciasse non sarà poi un gran guaio: le merci buone resistono all’acqua.