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La macchia umana

Non è facile parlare di “La macchia umana” di Philip Roth senza fare spoiler. Sono stata due settimane a scrivere e cancellare, scrivere e cancellare, ma ho insistito perché, come sempre, Roth ne vale la pena. Nel dubbio, se vuoi leggere questo libro magari rimanda la lettura di questo articolo a un secondo momento.

Dunque, il protagonista di questo romanzo è un ex-insegnante universitario di nome Coleman Silk. Coleman Silk ha un segreto ingombrante, capace di cambiare il destino di diverse altre vite, oltre la sua. Un segreto che, con l’ironia che solo la vita a volte sa avere, finisce inaspettatamente per ritorcersi contro Coleman stesso. Eppure l’ex-professore vi rimane attaccato, certamente (ma non solo) anche per una questione di principio. Perché, sullo sfondo delle vicende umane, vi è l’America perbenista e puritana che nel 1998 era tutta presa dallo scandalo Clinton-Lewinsky, un’America che ancora oggi sa essere estremamente bacchettona mentre, al contempo, produce mostri di indicibili fattezze.

Così anche in questo romanzo, scritto superbamente, Philip Roth riprende una delle sue tematiche più care: la tragica forza, la coercizione con cui la società impone agli individui di conformarsi, influenzandone così il modo di pensare e i comportamenti. Una società che si scaglia violentemente contro alcuni permettendosi di giudicare perché pensa di sapere, quando in realtà niente è mai davvero come sembra. Con “La macchia umana” Roth estremizza quest’ultimo concetto, proprio attraverso il segreto che le dolorose decisioni prese da Coleman Silk in gioventù hanno fabbricato.

L’indipendenza dal (pre)giudizio, l’accettazione della contradditorietà, il coraggio di fare spazio alla precarietà. Tutto questo è “La macchia umana”, tutto questo è ciascuna delle nostre vite perchè

Noi lasciamo una macchia, lasciamo la nostra impronta. Impurità, crudeltà, abuso, errore, escremento, seme: non c’è altro mezzo per essere qui.