Ho letto “Non lasciarmi” di Kazuo Ishiguro per la prima volta nel novembre 2011. Me lo prestò una delle mie migliori amiche, ma questa non gliel’ho ancora perdonata. Poi, succede che a marzo 2017 lo stesso titolo viene estratto tra le proposte di uno dei gruppi di lettura a cui partecipo. Dopo una settimana di altalena emotiva fatta di “no, no… no!”, “ma forse lo rileggo”, “ma col cavolo che mi ci rimetto”, “però mi piacerebbe discuterlo”, “ma perché proprio questo?”… alla fine ho preso coraggio e ho deciso di leggerlo di nuovo.
La seconda lettura è stata meno traumatica. Sapevo cosa aspettarmi, dunque è stato più semplice proteggermi. Tuttavia, i temi che l’autore tratta sono di così grande spessore che, neanche con 5 anni e mezzo in più addosso, mi permetto di millantare un’opinione univoca sulle vicende narrate. Ciò che stavolta mi ha dato il colpo di grazia è stato l’accorgermi che, tutto a un tratto, i protagonisti del romanzo sono davvero solo pedine in un gioco crudele che sono “costretti” a giocare. L’autore non lo nasconde mai davvero, ma è solo nelle ultime pagine del romanzo che questo fatto diventa lampante.
La cosa più complicata di questo romanzo, a mio parere, è capire i tre protagonisti. Per chi legge, la muta rassegnazione a un destino fatto di atroci sofferenze e di morte prematura, è difficile da capire. Bisogna sforzarsi a ogni pagina per ricordarsi che la realtà dei tre protagonisti è completamente diversa da quella che conosciamo e viviamo noi. Una realtà ucronica, ma in qualche modo vicina a noi.
In definitiva, “Non lasciarmi” è un romanzo sì distopico, ma non così lontano dalla realtà da permettere al lettore di relegare la narrazione a un piano di pura fantasia.
Se non lo hai letto, merita di essere preso in considerazione. Diciamo solo che, magari, bisogna accostarvisi al momento giusto, consapevoli che il caro Kazuo Ishiguro vuole usare il lettore come pungiball.