Fu una bastonata dura per me. Ma poi, che farci?
Continuai la mia strada, in mezzo alle trasformazioni del mondo, anch’io trasformandomi.[Le cosmicomiche, Italo Calvino]
La pandemia da coronavirus è di certo stata una bastonata per tutti noi. Noi come genere umano, intendo.
A una persona come me, nata sul finire degli anni Ottanta, basta guardare indietro di pochi mesi per vedere una vita che è sostanzialmente rimasta sempre la stessa. Poi, improvvisamente, un virus ha cambiato il nostro modo di vivere, di pensare, di dare delle priorità. Ci costringe a dubitare del futuro in modo diverso, sia delle cose più triviali (Riusciremo ad andare in vacanza quest’estate? Il virus “morirà” davvero con il caldo? E cosa succederà in autunno? Dovremo rimetterci in quarantena?) che di quelle più importanti (Davvero ci sarà una nuova terribile recessione? Quante aziende saranno costrette a chiudere nei prossimi mesi? Ce la caveremo? Quando sarà pronto e sicuro il vaccino?).
In tutto ciò, tra giorni normali, giorni di ottimismo e giorni di una noia mortale, la mia unica ancora di salvezza è stata non fermarmi.
Sì, sono isolata a casa dal 12 marzo, giorno in cui ho iniziato lo smart working e che ha segnato la fine dei miei normali spostamenti per la città, ma no, non ho messo la mia vita in stand-by in attesa del famigerato “ritorno alla normalità”. Cosa voglio dire? Voglio dire che ho preso seriamente il periodo di quarantena, quindi sto uscendo solo per andare a fare la spesa, buttare quello che a Bologna si chiama “il rusco” (ovvero, la spazzatura), sgranchirmi le gambe girando intorno al mio isolato in stile detenuto ai domiciliari con il braccialetto elettronico alla caviglia e ciò significa che fisicamente, o meglio geograficamente, sono ferma, ma mentalmente, è tutta un’altra storia.
Come dice Calvino, mi sto trasformando in mezzo a questa inaspettata, tragica e profonda trasformazione che il mondo sta subendo dalla quale, pare, emergerà un nuovo modello di esistenza. Questo, come diceva il caro Lucio (Battisti), lo scopriremo solo vivendo. Intanto, io non mi limito a bivaccare e sguazzare in quello che già so, ma approfitto per dedicarmi a nuovi pensieri e nuove attività, approfitto del tempo in più che ho per le mani per sperimentare, fosse anche solo una nuova ricetta. Approfitto per leggere cose di cui so poco e niente, per studiare nuove materie e, credimi, non c’è mai fine a quello che si può imparare. Ho sradicato la mia vecchia routine in favore di una nuova quotidianità che in questo momento è più funzionale e non passo tutto il mio tempo a rimpiangere qualcosa che è ovvio che in questo momento non posso avere. Sfrutto anche i momenti di noia, tristezza e insofferenza, perché è normale che ci siano, soprattutto in questo periodo, ma sta a noi prenderli e trasformarli in carburante per fare altro e svoltare le nostre giornate.
E quando mi sento ottimista mi permetto qualche volo di fantasia. Sogno di riabbracciare i miei amici, di potermi stendere su una stuoia in spiaggia, di organizzare un bel pranzo in famiglia, di poter riprogrammare il mio viaggio a Berlino, di godermi un altro film all’aperto mentre gusto un buon gelato. Il coronavirus ha reso desideri molte delle cose che prima erano la normalità e ci ha fatto capire, una volta di più, l’immenso valore che hanno tutte queste piccole cose.