Chuck Palahniuk è sicuramente uno di quegli scrittori di cui serbi un ricordo, se non delle trame dei suoi libri, perlomeno delle sensazioni che ti ha destato la lettura dei suoi romanzi. Di Palahniuk avevo già letto, anni fa, “Fight Club” e “Gang Bang” e lo scorso mese
l’ho ripreso in mano per leggere, insieme a uno dei miei gruppi di lettura, “Soffocare”.
Complesso, tortuoso e ai limiti dell’irrealtà nella trama, il libro è molto interessante dal punto di vista del contenuto anche se i temi trattati non vengono mai veramente esplosi quanto piuttosto soltanto accennati. Sullo stile, invece, ho qualche riserva. Vero è che il linguaggio utilizzato è perfetto per Victor Mancini, il protagonista del libro, ma è altrettanto vero che è lo stesso stile che avevo trovato negli altri romanzi e non mi aspettavo niente di diverso. Non so, diciamo che Palahniuk non è il mio genere di pazzo schizoide preferito; se proprio devo andare in quella direzione, allora preferisco David Foster Wallace. Si tratta però di un commento squisitamente personale.
La cosa veramente stimolante di questo libro è che ti sfida a vedere cosa c’è oltre la patina spessa del turpiloquio, della nausea, dello schifo, per arrivare alla verità profonda del suo significato intrinseco, tutto esplicitato nel finale ma di cui si trovano indizi disseminati sin dalle prime pagine. Un romanzo per un lettore arguto, come arguta è la scelta del titolo che sembra in fin dei conti avere poca rilevanza rispetto alla trama e invece la permea senza che quasi ci se ne accorga.