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Non ci sto 2023

Sposo ancora ogni parola dell’articolo “Non ci sto” che ho scritto l’8 marzo 2016 anche se sono passati tanti anni ed è quindi passata tanta acqua sotto i ponti. Molte cose sono cambiate e diventare madre ha aggiunto vari livelli di complessità e molestia a ciò che oggi, almeno per me, significa essere donna.

E continuo a non starci alle pressioni sociali, a questa società ancora dominata da un maschilismo dilagante. E ci sto ancora meno perché, ahimè, mia figlia è femmina e spero tanto che, ben prima che arrivi alla mia età, stia vivendo in una società davvero più equa e paritaria. Di sicuro continuerò a lottare affinché questo avvenga.

Non ci sto perché prima di essere una donna sono una persona. E non ci sto perché essere donna non deve essere una condanna.

Auguri, donne!
Non smettiamo mai di essere ciò che siamo, quello che ciascuna di noi è veramente, e non quello che ci si aspetta da noi.

Non ci sto

Non ci sto al multitasking, a che si pretenda che io gestisca più cose contemporaneamente perché, si sa, “una donna ci riesce”. Non ci sto soprattutto perché, casomai, rispetto a un collega uomo di pari livello, il mio stipendio risulta più basso.

Non ci sto all’idea di non poter usare certe parole o espressioni perché “sei una signorina, non sta bene”. In generale, non ci sto a dover adottare un certo tipo di condotta solo perché è quello che socialmente e convenzionalmente ci si aspetta da me in quanto femmina.

a-womanNon ci sto a che venga dato per scontato che mi piaccia fare gossip e shopping, guardare video tutorial di makeup, leggere romanzi rosa. Vuoi conoscere una persona? Fai delle domande.

Non ci sto a dover accettare che mi si guardi fisso mentre parcheggio.

Non ci sto alla continua allusione al fatto che, se ho una giornata storta, è perchè sono in sindrome premestruale. Fortunatamente ci tocca solo una volta ogni 28 giorni.

Non ci sto a dover aver paura di essere licenziata se dovessi rimanere incinta. Il buon Iddio ha dotato dell’apposita conformazione procreatrice solo la donna. Quindi?

Non ci sto perché prima di essere una donna sono una persona. E non ci sto perché essere donna non deve essere una condanna.

L’umanità femminile

Un giorno esisterà la fanciulla e la donna, il cui nome non significherà più soltanto un contrapposto al maschile, ma qualcosa per sé, qualcosa per cui non si penserà a completamento e confine, ma solo a vita reale: l’umanità femminile.

Questo progresso trasformerà l’esperienza dell’amore, che ora è piena d’errore, la muterà dal fondo, la riplasmerà in una relazione da essere umano a essere umano, non più da maschio a femmina. E questo più umano amore somiglierà a quello che noi faticosamente prepariamo, all’amore che in questo consiste, che due solitudini si custodiscano, delimitino e salutino a vicenda.

Reiner Maria Rilke

hands holding

Qualche giorno fa sono stata a teatro. Ho vistoDue Partite” di Cristina Comencini e per due ore ho avuto la netta sensazione di non essere poi così strana. Più la messa in scena svelava i pensieri intimi delle protagoniste e più ho avuto la riconferma che essere donna è (e probabilmente sarà sempre) un vortice di caos e follia, viaggi mentali assurdi, tensioni tragicomiche, piccole gioie e piccole paure.

Definire l’identità femminile è impossibile, che sia per sè o in contrapposizione all’uomo. Poco importa, le definizioni sono limitanti e non c’è niente di tanto labile e mutevole quanto la costruzione di una identità.